Altri contributi,  CONFLITTI E PROSPETTIVE DI PACE

Il potere militare: l’evoluzione delle Forze Armate in Myanmar (1/4)

A partire da oggi pubblichiamo a puntate la tesi di laurea magistrale di Andrea Castronovo, intitolata Il conflitto civile in Myanmar: un’analisi degli attori e delle prospettive di pace, uscita nel 2020 (Corso di Laurea in Politiche per la cooperazione internazionale allo sviluppo, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano). La foto di copertina è di Hkun Lat, fotografo e documentarista del magazine Frontier Myanmar.

 

 

1.1
L’eredità
del passato: imperialismo e la nascita di uno Stato in rivolta

 

Per comprendere appieno le dinamiche strutturali che definiscono le problematiche contemporanee del Myanmar bisogna innanzitutto soffermarsi sul processo che ha portato alla nascita dello Stato. Il Myanmar come lo conosciamo oggi è una creazione artificiale scaturita dalla peculiare esperienza coloniale vissuta sotto il dominio dall’Impero britannico. Come numerosi altri paesi hanno sperimentato, la mutazione storica introdotta forzatamente dalle politiche imperialistiche costituisce la “culla madre” di numerose fratture interne che tutt’oggi alimentano conflitti sociali, politici e culturali.

L’invasione britannica in Myanmar avvenne attraverso le tre guerre Anglo-Birmane: 1824-1826, 1852, e 1885. La graduale conquista del territorio portò all’occupazione del Rakhine e il Tanintharyi occidentale, poi il Myanmar meridionale ed infine, con la presa di Mandalay, la capitale dell’ultimo regno birmano della dinastia Konbaung, i britannici conquistarono l’area settentrionale e così l’intero Myanmar.

Anche se l’annessione finale non si scontrò con una decisa resistenza delle forze armate del regno di Thibaw3, la presenza Anglo-indiana in Myanmar provocò fin dal primo momento una forte ondata di violenze da parte della popolazione indigena. A metà del 1886, le forze occupanti furono costrette a rafforzare la propria presenza militare, raggiungendo un totale di oltre quarantamila soldati impegnati in Myanmar, per contrastare le proteste scoppiate in tutto il Paese e restaurare l’ordine sociale. Anche se la maggior parte di queste insurrezioni vennero sedate entro il 1889, il Paese rimase un territorio violento: “dall’inizio del secolo in poi, la Birmania divenne il posto più pericoloso dell’Impero [britannico]. Rangoon vantava il più alto tasso di omicidi di tutte le città coloniali”4.

A differenza di ciò che si è portati a pensare, i britannici non attribuirono fin da subito lo status di Stato coloniale al Myanmar. Il Paese venne prima trasformato in una provincia dell’India e solamente dopo 52 anni, nel 1937, venne riconosciuto come un’identità autonoma all’interno dell’Impero.

Se l’annessione del territorio birmano all’India ha segnato una nuova fase di importanti flussi migratori5, con una conseguente destabilizzazione identitaria birmana, la creazione di “due Birmanie”, massima espressione della tecnica divide et impera, frequentemente utilizzata dai britannici, fu la politica imperialista che danneggiò maggiormente le basi strutturali dell’intera società. Entrambi i fattori alterarono profondamente la percezione dei birmani stessi in relazione alla propria società e, più precisamente, su chi ne faceva parte di diritto e chi invece rappresentava un estraneo6. I concetti di razza e d’identità, che trovarono il loro inizio conflittuale proprio nel colonialismo, rimangono tuttora alla base delle più profonde crisi sociali del Paese. Per comprendere le reali dimensioni e le conseguenze di questi due fenomeni, bisogna specificare che: da una parte, “per un periodo negli anni Venti, Yangon superò New York come il porto con il maggior flusso di migranti del mondo”7 e dall’altra, la politica britannica divide et impera, che alimentò la profonda divisione e lo scontro tra i gruppi etnici birmani, mise le basi al conflitto etnico più duraturo della storia moderna, appunto quello birmano, che ad oggi continua a causare vittime.

La strategia britannica in Myanmar fu quella di amministrare direttamente e con forza le zone abitate dal gruppo etnico maggioritario, i Bamar, e applicare un sistema di controllo indiretto nelle zone di frontiera nelle quali vivevano i gruppi etnici minoritari. Ma è nel processo di reclutamento delle forze armate della Birmania colonizzata che si focalizzava maggiormente la discriminazione sociale basata sul gruppo etnico di appartenenza.

La contrapposizione dei gruppi interni come elemento di destabilizzazione etnica si può osservare già dalle prime fasi del conflitto Anglo-Birmano, ben prima della totale estensione del dominio britannico sul territorio. Nel 1824, l’Esercito Anglo-Indiano approvò l’arruolamento degli indigeni dello stato del Rakhine nella lotta contro l’esercito reale birmano. Nel 1833, vennero reclutati gli indigeni dello stato del Mon per proteggere il territorio neo-occupato del Tanintharyi ed infine, nel 1852, gli inglesi crearono un reggimento di fanteria leggera nella città di Bago, formato da indigeni locali, per supportare gli sforzi dell’Esercito Indiano durante la seconda guerra Anglo-Birmana. Negli anni a seguire, l’Amministrazione britannica aumentò gradualmente la partecipazione delle minoranze etniche nelle Forze Armate indiane. All’interno dell’Esercito coloniale si registrò la rilevante presenza del gruppo etnico Karen e questo potrebbe essere motivato, oltre che dalle indiscusse abilità nel combattimento del gruppo etnico, dal successo dei preti missionari battisti nel processo di conversione, dal buddismo al cristianesimo, delle comunità Karen e al successivo insegnamento della lingua inglese al popolo. Nel 1886, ci fu un ulteriore aumento nel reclutamento dei Karen per sedare le sommosse popolari nazionaliste (Bamar) scoppiate in tutto il Paese.

Nell’analisi del reclutamento dell’Esercito indiano in Myanmar bisogna sottolineare che fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, il numero complessivo dei membri di tutti i gruppi etnici birmani nelle forze armate ammontava a circa 300 individui. Dato che la popolazione indigena nel 1911 era di 12 milioni, in Myanmar vi era un rapporto di 2.5 membri indigeni arruolati nelle forze armate per ogni 100 mila abitanti.8 L’evidente mancanza di rappresentazione di qualsiasi gruppo etnico birmano all’interno dell’esercito della “propria” nazione, fece emergere la volontà dell’amministrazione indiana di escludere completamente i birmani dal processo di costruzione e sviluppo sia delle forze armate che della stessa Birmania Anglo-Indiana. Sebbene in questa fase non si possa parlare di politiche di reclutamento basate sul principio di divide et impera, dato che vi è la completa esclusione di tutti i gruppi etnici, si può comunque vedere una netta divisione tra i birmani, impossibilitati a partecipare alla creazione del loro stesso stato/regione, e l’amministrazione centrale birmana, dominata dall’influenza straniera.

Il primo cambiamento fondamentale nella gestione delle forze armate birmane avvenne alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando Londra iniziò a programmare l’eventuale transizione in India ad un governo autonomo locale. Visto che nessuna delle due parti, i nazionalisti indiani e l’amministrazione britannica, credeva nella definitiva inclusione del Myanmar all’interno della futura India indipendente, i britannici iniziarono a prendere in considerazione la scissione dei due paesi. Come suggerito da Robert Taylor, solamente dopo il 2 gennaio del 1923, come conseguenza delle Riforme Montagu-Chelmsford, il Myanmar divenne un’entità distinta nelle politiche britanniche e non, come fino a quel momento, un enclave Indiana: “tutte le decisioni più importanti riguardanti il Myanmar dal 1824 al 1920 vennero prese a Calcutta o a Nuova Delhi, non a Londra. Dopo questa data è possibile parlare della “politica britannica” come influenza diretta in Myanmar”.9 L’effettiva autonomia come Paese colonizzato venne garantita solamente nel 1937, quando i britannici concessero alla Birmania la prima costituzione.

Solamente negli anni Venti emerse una seria discussione sulle problematiche inerenti alle forze armate in Myanmar e sulla loro natura. Assieme all’attuazione delle riforme che gradualmente portarono alla separazione della Birmania dall’India, divenne chiaro che la presenza delle truppe indiane, all’interno delle forze armate Anglo-birmane, non si sarebbe potuta estendere ancora per molto tempo. Fu proprio il Congresso Nazionale Indiano a voler richiamare dentro i confini nazionali le proprie truppe impegnate all’estero.

Se dall’occupazione britannica alla Prima Guerra Mondiale ci fu la totale mancanza di rappresentazione indigena birmana all’interno dell’esercito, dal 1914 al 1942 emerse un diverso elemento discriminatorio nel processo di reclutamento dei soldati: la ferrea esclusione del gruppo Bamar dalle forze armate. Questa scelta politico- militare si basò sulla volontà britannica di utilizzare a proprio vantaggio le fragili dinamiche interetniche del Paese.

Da parte del movimento nazionalista il divieto venne percepito come l’ennesima ingiustizia e umiliazione imposta ai birmani, Bamar. Ciò non fece altro che alimentare una tensione interetnica interna al Paese che portò ad un nuovo ciclo di violenze. L’elemento conflittuale di base era che i Bamar consideravano le minoranze etniche come dei traditori della patria, dato il loro supporto all’interno dell’Esercito coloniale. Il meccanismo per cui il gruppo etnico maggioritario veniva oppresso dall’esercito coloniale composto per la maggior parte dalle minoranze etniche del loro stesso Paese, creò una profonda frattura sociale interna.

Oltre alla nota insurrezione Saya San, negli anni 30 ci furono una serie di avvenimenti che inquadrarono perfettamente il sentimento nazionalista che stava emergendo. L’organizzazione Dobama Asiayone (La Nostra Associazione Birmana), che emerse come il gruppo nazionalista più influente dell’epoca, lanciò una nuova campagna nazionale che aveva come messaggio principale il ripudio dell’influenza straniera sulla cultura, sulla lingua e sulle usanze birmane. Questa campagna era rivolta direttamente ai gruppi indigeni birmani che sostenevano i colonizzatori, indossavano vestiti inglesi, parlavano in inglese e possedevano nomi inglesi10. Oltre alla mera presenza all’interno delle forze armate Anglo-birmane, l’organizzazione Dobama criticava il ruolo delle minoranze etniche, soprattutto dei Karen, nel sedare i moti nazionalisti birmani degli anni ’30.

Nell’analisi storico-linguistica inerente al periodo appena analizzato, vi è un approccio interpretativo, supportato anche dai lavori di Kei Nemoto, volto a dimostrare l’interdipendenza tra il termine Dobama (la nostra Birmania) e il suo contrario Thudo- bama (la loro Birmania) all’interno del movimento nazionalista. Thudo-bama, raffigurava i collaboratori dei colonizzatori e perciò gli individui che secondo i Dobama non amavano il proprio Paese, la propria lingua e le proprie tradizioni. In altre parole, i britannici non erano gli unici nemici dei birmani nazionalisti11.

A prescindere dalla terminologia utilizzata, è evidente che le politiche Anglo- Indiane portarono la Birmania ad una profonda divisione etnica che aggravò le già esistenti differenze storico-identitarie dei vari gruppi etnici del periodo precoloniale. L’eredità più significativa che verrà lasciata dalla gestione britannica alla futura Birmania indipendente sarà proprio la divisione dello stato in “due Birmanie” in conflitto tra loro: la prima caratterizzata dalla presenza del gruppo etnico Bamar, e la seconda, estesa sulle aree di frontiera, frammentata nelle numerose minoranze etniche.

Come emerge dal censimento svolto nel 1931, l’impatto della politica di non reclutamento fu evidente: le minoranze Karen, Kachin, Chin, Mon e Shan, che allora rappresentavano circa il 13% della popolazione totale, contavano per l’83% della presenza indigena di tutti i gruppi etnici nelle forze armate Anglo-birmane.12

Come sottolineato da Mary P. Callahan, quando i britannici concessero alla Birmania lo status di stato coloniale nel 1937, separandola dall’India, e contemporaneamente crearono il primo “Commando birmano”, fu troppo tardi per provare a costruire una forza armata integrata nella società. Quando nel 1935 venne eliminato il divieto contro il reclutamento dell’etnia Bamar, solamente pochi Bamar vedevano il servizio militare come qualcosa di diverso dalla mera collaborazione con i colonizzatori13. Perciò, l’esercito, che secondo i britannici avrebbe dovuto accompagnare la Birmania nel suo processo di indipendenza, era formato nella sua quasi totalità da individui che rappresentavano la minoranza della popolazione. Questo si può osservare ancora più chiaramente nell’analisi pubblicata da Robert H. Taylor sulla fanteria leggera14 dell’esercito birmano nel 1938. Il battaglione era composto da 22 ufficiali e 715 soldati, di questi vi erano solamente quattro Bamar come ufficiali (rappresentando il 18% del totale) e nelle fila dei soldati vi era la completa assenza del gruppo etnico maggioritario: il 50% era di etnia Karen, il 25% di etnia Chin e il 25% di etnia Kachin15.

Sotto l’influenza britannica, l’esercito Anglo-Indiano in Myanmar era percepito della popolazione come uno strumento all’interno del quale le minoranze etniche aiutavano gli imperialisti a reprimere le legittime aspirazioni nazionaliste dei Bamar. Ma soprattutto, oltre a continuare ad escludere il gruppo etnico maggioritario, le forze armate erano un’entità distinta dalla società e avevano come unico obiettivo il mantenimento dell’ordine pubblico piuttosto che la difesa del Paese da possibili aggressioni esterne.

Il primo esercito nazionale birmano venne formato nel 1941 da Aung San, giovane leader Thakin16 del movimento nazionalista, in Giappone. Già nel 1940 ci furono i primi contatti tra Aung San, proveniente dall’organizzazione Dobama Asiayone, e i membri dei servizi segreti giapponesi per la creazione dell’esercito di indipendenza birmano. Il responsabile dell’operazione di intelligence fu il Colonnello Suzuki Keiji, il quale riuscì ad organizzare l’addestramento di 28 nazionalisti birmani, compreso Aung San, successivamente conosciuti come i “Thirty Comrades17.

L’Esercito di Indipendenza Birmano (Bamar Lutlatye Tatmadaw, oppure BIA) venne posto sotto la Quindicesima Armata giapponese quando nel dicembre del 1941 il Giappone invase la Birmania. “Uno straordinario sviluppo del ventesimo secolo fu la velocità con cui le gigantesche colonie europee collassarono ai primi scontri con le forze occupanti giapponesi”18. Il caso birmano non fu differente e nel giugno del 1942 la struttura imperiale britannica fu completamente annientata. Durante il conflitto il BIA supportò l’avanzata giapponese ma, soprattutto, iniziò fin da subito ad arruolare nazionalisti birmani tra le sue fila.

L’alleanza tra nazionalisti e Tokyo si basò sulla promessa da parte dei giapponesi di garantire l’immediata indipendenza alla nazione, aiutando quindi la Birmania a liberarsi dell’oppressione britannica. Con la conclusione del conflitto, fu subito chiaro che le forze giapponesi non avrebbero tenuto fede al patto. Iniziarono così i quattro anni di feroce occupazione armata giapponese.

Nei mesi che seguirono la conquista nipponica, il BIA crebbe al di sopra di ogni aspettativa e già nel 1942 poteva contare su almeno 10 mila soldati sparsi in tutto il Paese. Diversamente dalle forze armate Anglo-Indiane in Myanmar, l’esercito nazionalista era costituito quasi nella sua totalità da soldati di etnia Bamar.

A causa della sorprendente crescita del BIA, dell’alto tasso di criminalità all’interno della sua struttura e della crescente minaccia all’autorità giapponese, nel marzo del 1942 il BIA venne riorganizzato in una forza armata più strutturata e semplice da gestire. Vennero formate due divisioni interne, Aung San fu nominato Comandate supremo e Ne Win, futuro dittatore, fu investito della carica di comandante di una delle divisioni. Oltretutto, venne stabilito ufficialmente il quartier generale, fu scritto il primo codice di condotta dei soldati in birmano, fu scelta la bandiera dell’esercito e in generale nacque il primo esercito nazionale sul suolo birmano. Anche se i giapponesi elimineranno il BIA solamente tre mesi più tardi, la riorganizzazione segnò un evento essenziale per l’esperienza nazionalista birmana. Questo perché la percezione dei soldati era quella di essere reclutati nelle fila dell’esercito birmano e non giapponese dato che tecnicamente il BIA era ancora sotto l’autorità della Quindicesima armata.19

Nel luglio del 1942 i giapponesi eliminarono il BIA e formarono l’Esercito di Difesa Birmano (Burma Defence Army – BDA) di dimensioni decisamente più ridotte e composta da individui più disciplinati. Nel settembre del 1943 le forze armate giapponesi concessero una finta indipendenza alla Birmania, formarono un governo sotto la guida di Ba Maw, all’interno del quale Aung San venne nominato Ministro della Difesa e Ne Win fu promosso a comandante delle forze armate nazionali.

Dopo l’eclatante sconfitta, l’apparato governativo britannico della Birmania colonizzata si trasferì a Simla, nel nord dell’India, da dove continuò ad affermare la sua autorità sulle zone della Birmania non occupate dall’Impero giapponese. Come dettagliatamente analizzato da Andrew Selth, subito dopo la ritirata del 1942, le forze armate britanniche iniziarono un lungo processo di reclutamento della popolazione indigena delle zone di frontiera per la formazione di unità irregolari di resistenza. Nello stato del Rakhine e nel distretto di Naga, zona di confine tra l’India e la Birmania, venne creata la V Force con il compito principale di raccogliere informazioni rilevanti per l’intelligence britannica. Nel Chin i soldati arruolati rinforzarono la già esistente unità militare creata nel periodo coloniale, la Burma Frontier Force. Nel Kachin, i britannici reclutarono la popolazione indigena di Putao, nell’estremo nord. Anche gli Stati Uniti d’America supportarono la resistenza birmana addestrando unità armate cinesi nelle zone di confine per proteggere la strada che fungeva da collegamento tra l’India e la Cina. Nella stessa zona anche il British Special Operations Executive (SOE) / Force 136 sviluppò delle truppe armate di resistenza. Ed infine, nel territorio dei Karen i britannici mobilitarono il maggior numero di soldati, raggiungendo i dodicimila uomini entro la fine della guerra20.

A causa dell’avanzare del conflitto ci fu una sempre maggior necessità di soldati da reclutare dalle popolazioni di frontiera, quelle che appunto non erano soggette all’influenza nipponica. Questo fece emergere una rivalità implicita tre le diverse coalizioni interne, legate al movimento nazionalista birmano, e quelle affiliate a differenti influenze esterne – Regno Unito, Cina e U.S.A – che concorrevano tutte nel reclutare individui dalle stesse popolazioni. Nel processo di reclutamento, la propaganda non giocò un ruolo secondario e ciò aggravò ulteriormente il delicato equilibrio etnico in Myanmar. Oltre che a concentrarsi sulla già esistente rivalità etnica, gli attori esterni promisero alle diverse comunità etniche di supportare in futuro la loro visione della Birmania postcoloniale ed in particolare le loro aspirazioni indipendentiste. Comunque data la scarsa letteratura sull’argomento e l’inesistenza di specifici dati al riguardo, sarebbe azzardato attribuire a questo processo uno specifico peso all’interno delle dinamiche storiche della Birmania. Risultano invece evidenti le conseguenze di lungo termine del continuo reclutamento ed armamento di frange armate nelle zone di frontiera da utilizzare contro le forze imperiali e i nazionalisti birmani. L’estrema frammentazione armata basata sullo scontro etnico rappresenta uno degli elementi cardine del processo di creazione del Myanmar contemporaneo.

Una situazione ancora più complicata proveniva dal centro del Paese, dove l’occupazione giapponese concentrava maggiormente le proprie energie. I nazionalisti birmani, ritrovatosi sotto un nuovo regime, iniziarono a sviluppare delle alleanze segrete tra i differenti gruppi politici. Nel luglio e agosto del 1944, il Partito Comunista Birmano (CPB), il Partito Rivoluzionario del Popolo (People’s Revolutionary Party PRP) e alcune frange armate nazionaliste si riunirono per formare un’unica alleanza: l’Organizzazione Antifascista (Anti-Fascist Organisation – AFO). Il Generale Aung San, eletto presidente dell’alleanza, iniziò la preparazione dell’Esercito Nazionale Birmano (Burmese National Army BNA) per un’insurrezione su vasta scala contro i giapponesi21.

Solamente nell’agosto del 1944 venne raggiunto un accordo per un’ampia alleanza tra i membri del AFO e il Regno Unito che portò nell’aprile del ’45 alla conclusione dell’occupazione giapponese e al ritorno dell’Impero britannico in Myanmar.

Gli anni della resistenza, oltre ad esacerbare lo scontro interetnico nel Paese e ad aumentare il livello di militarizzazione delle zone di frontiera, come analizzato in precedenza, inducono i vari attori interni a maturare una diversa visione del futuro della Birmania postcoloniale. Se il ritorno dell’influenza britannica porta in secondo piano alcune rivalità, queste si paleseranno all’indomani dell’indipendenza.

Nell’immediato dopoguerra, la Birmania britannica dovette confrontarsi con la presenza di un vasto numero di soldati e guerriglieri sparsi su tutto il territorio. Indicativamente si contarono centomila individui armati, che rispondevano ad altrettante numerose catene di comando, alleanze e leader politici differenti. L’incertezza sul futuro di questi individui, su chi sarebbe stato assorbito all’interno di un nuovo esercito regolare birmano e chi no, rappresentò la prima sfida politica rilevante sulla quale i nazionalisti birmani e l’amministrazione britannica si dovettero confrontare.

Nel luglio del 1945 i due soggetti politici raggiunsero un temporaneo accordo su come sviluppare il Paese e la sua forza armata: “due Birmanie, due eserciti”. Ancora una volta si decise di dividere il Paese in due vaghe ma specifiche entità22, i gruppi minoritari e l’etnia Bamar, piuttosto che raggiungere una soluzione più inclusiva, anche se politicamente molto più complessa da trovare. Questa visione del futuro del Paese venne sviluppata dal governo britannico in esilio a Simla nel periodo dell’occupazione giapponese. Il piano di Dorman Smith, l’allora governatore della Birmania dal 1941 al 1946, prevedeva la creazione di due Birmanie alla fine della guerra: la prima, all’interno della quale rientrava la Birmania centrale e meridionale, composta principalmente dall’etnia Bamar, il cui esercito avrebbe dovuto essere composto da soldati fedeli alla Corona (Karen, indiani e anglo-birmani); la seconda, che comprendeva le zone di frontiera, avrebbe dovuto essere posta sotto la protezione di una forza armata composta dalle popolazioni locali ma sotto la guida di ufficiali britannici. Questa strategia venne abbracciata dall’amministrazione britannica e fu pubblicata all’interno nel Libro Bianco nell’aprile del 194523.

Durante queste contrattazioni, le priorità di Aung San e dell’intero movimento nazionalista furono quelle di mantenere intatta la struttura del BNA e contemporaneamente di indebolire le forze armate e l’influenza politica dei gruppi minoritari, sospetti di cooperare con l’Impero britannico. Questo spiega perché durante i negoziati per la creazione della nuova forza armata birmana, i nazionalisti premettero per l’incorporazione del BNA all’interno del nuovo esercito come intere unità e non come soldati individuali. Alla base, vi era la volontà di non disperdere i soldati nazionalisti Bamar nelle fila di un intero esercito ma di concentrarli in specifiche e compatte unità24. La ragione di ciò era indubbiamente rivolta ad una possibile e imminente seconda insurrezione contro le forze britanniche.

Gli incontri tra l’amministrazione inglese, il BNA (rinominata Patriotic Burmese Force o PBF) e i vari attori politici birmani portarono ad un compromesso nel luglio dello stesso anno. Venne decisa la divisione dell’esercito in due frange, una composta da soldati Bamar e l’altra da soldati non Bamar, entrambe sottoposte all’autorità dell’Ispettore Generale delle Forze Armate Britanniche. Le due frange armate sarebbero state guidate da due vice ispettori generali (DIG), uno di etnia Bamar e l’altro di etnia Karen, Chin o Kachin. I DIG sarebbero stati classificati con il grado militare di Brigadiere e avrebbero dovuto giurare fedeltà alla Regina25. Questa proposta fu avanzata da Mountbatten26 e successivamente approvata da tutti gli attori coinvolti. Da entrambi gli schieramenti, questa soluzione venne vista come una concreta possibilità di affermare all’interno dell’esercito una posizione di forza da utilizzare successivamente a proprio vantaggio.

Il progetto del nuovo esercito birmano venne ufficializzato durante la Conferenza di Kandy il 6 e 7 settembre del 1945. All’evento parteciparono Mountbatten, i Comandanti dell’esercito britannico assegnati alla Birmania, Aung San, i leader del PBF e del AFO (rinominato Anti-Fascist People’s Freedom League o AFPFL) e altri rappresentanti di partiti politici birmani. Le forze armate birmane vennero organizzate nel modo seguente: tre battaglioni Bamar reclutati esclusivamente dal PBF, un battaglione Bamar composto da soldati non provenienti dal PBF, due battaglioni Karen, due battaglioni Kachin, e due battaglioni Chin27. L’accordo non produsse un esercito nazionale, bensì due entità armate profondamente distinte e in conflitto tra loro. Per le due frange la minaccia più significativa, oltre ai britannici, veniva proprio dalla frangia armata di etnia diversa.

Un secondo ed altrettanto importante fallimento dei negoziati di Kandy fu l’incapacità di disarmare le decine di migliaia di soldati che combatterono durante il periodo di occupazione giapponese ma che non vennero successivamente assorbiti nel nuovo esercito nazionale. Ciò creò una situazione di instabilità e violenza in tutto il Paese. Durante il breve periodo che segnò il ritorno del governo britannico in Myanmar, dall’ottobre del 1945 al gennaio del 1948, a causa dell’evidente stato di instabilità politica e di frammentazione armata del territorio, l’amministrazione imperiale non riuscì ad avviare neanche gli strumenti base per ristabilire una minima autorità nel Paese. Alcune zone erano completamente sotto il controllo di gruppi armati, nelle quali anche la polizia locale era soggetta alla loro volontà.

L’organizzazione armata che emerse come l’unica scelta nazionalista che avrebbe potuto ottenere dei risultati concreti in favore all’indipendenza birmana fu la People’s Volunteer Organisation (POV). Il POV venne creato nel novembre del 1945, sotto il controllo di Aung San, ed ufficialmente aveva come obiettivo quello di supportare i soldati del PBF nel loro ritorno alla vita civile. Ben presto l’organizzazione si trasformò in una forza armata alternativa all’esercito birmano coloniale composta da migliaia di ex soldati PBF, ufficiali e giovani nazionalisti Bamar. Il POV fornì addestramento militare, raccolse denaro e reclutò membri indisturbatamente fino all’aprile del 1946, quando il governatore Dorman Smith ordinò al dipartimento di polizia anglo-birmana di impedire lo svolgersi delle attività del POV su tutto il territorio nazionale. Questo portò inevitabilmente a nuovi scontri e all’aumento della tensione tra l’amministrazione britannica e il movimento nazionalista birmano.

Nel dicembre dello stesso anno, il primo ministro britannico, Clement Attlee, invitò una delegazione birmana a Londra per negoziare il futuro della Birmania. Le trattative portarono all’Accordo Aung San Attlee, il 27 gennaio del 1947, che prevedeva il raggiungimento dell’indipendenza della Birmania unita entro la fine dell’anno28.

Solamente due membri della delegazione birmana non firmarono l’accordo: U Saw, ex primo ministro, e Ba Sein. Una volta ritornati in patria i due nazionalisti formarono il Fronte Nazionale di Opposizione (FNO) in quanto credevano che Aung San fosse passato sotto l’influenza britannica e che quindi le trattative per l’indipendenza fossero fallite.

Dall’altra parte, Aung San, tornato in Myanmar, organizzò a Panglong un incontro con i leader dei gruppi etnici Chin, Kachin e Shan. Il 12 febbraio 1947, giorno della Conferenza di Panglong, segnò un passaggio storico nelle relazioni tra i Bamar e le minoranze etniche del Paese. L’accordo prevedeva la collaborazione tra il governo provvisorio birmano e i gruppi etnici per l’acquisizione dell’indipendenza del Paese. Come descritto da U Tin Tut: “Furono la sua [di Aung San] personalità, assieme alla sua freschezza e sincerità, che lo portarono alla vittoria nell’ambito dei negoziati, dove il suo risultato più importante fu la conquista della fiducia delle popolazioni di frontiera e di altre minoranze”29. Infatti, l’elemento che fece riavvicinare i gruppi etnici minoritari al movimento nazionalista Bamar fu appunto la fiducia che essi riponevano in Aung San, piuttosto che la condivisione di ideologie politiche. Panglong sarebbe potuto essere il primo passo per la costruzione di nuove dinamiche interetniche in Myanmar. Questa visione di unità nazionale del futuro del Paese venne a mancare il 19 luglio del 1947 quando Aung San fu assassinato insieme a sei consiglieri governativi. Il colpevole fu U Saw.

Con la morte di Aung San venne meno l’unico elemento che avrebbe potuto tenere unito un Paese profondamente instabile e frammentato. Anche se la Birmania ottenne comunque l’indipendenza il 4 gennaio del 1948, il Paese era ormai ad un passo dal collasso.

Tre mesi dopo l’indipendenza, il Partito Comunista Birmano lanciò una ribellione armata contro il governo centrale. Molti degli ex soldati del PBF che facevano parte dell’esercito birmano, Tatmadaw, disertarono e si unirono alla causa comunista. Nello stesso periodo, il gruppo etnico Karen iniziò la sua lotta armata per l’indipendenza dalla neo-Birmania e, ad aggravare ulteriormente la situazione, le forze nazionaliste cinesi, il Kuomintang (KMT), invasero il nord-est del Paese per fuggire dalla controffensiva dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA), dopo la sconfitta nella Guerra Civile Cinese. Per la fine del 1949, più della metà delle truppe governative lasciarono i loro incarichi e, insieme al loro armamentario, si unirono ai movimenti di insurrezione sparsi in tutto il Paese. Per questo motivo, il Generale Ne Win, che nel febbraio del 1949 assunse il comando del Tatmadaw, poteva contare solamente su circa duemila soldati per affrontare i numerosi conflitti interni30. Alla fine del primo anno di indipendenza, il 75 percento delle città birmane si trovò sotto il controllo di gruppi armati non-statali.

Una cosa era certa: in nessun modo tra il 1948-50 fu chiaro che il Tatmadaw si sarebbe potuto evolvere in una forza armata che avrebbe monopolizzato il potere politico per più tempo di qualsiasi altra forza militare nel mondo post Seconda Guerra Mondiale31.

 

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Note:

3 Thibaw Min fu l’ultimo Re della dinastia Konbaung e l’ultimo Re birmano. Con la fine della terza guerra Anglo-Birmana e la definitiva conquista britannica del territorio birmano, Thibaw venne esiliato in India, a Ratnagiri, dove morì il 19 dicembre del 1916.
4 Mary P. Callahan, Making Enemies: War and State Building in Burma, New York, Cornell University, 2003, p. 24.
5 Come propriamente osservato da Thant Myint-U in The Hidden History of Burma”, la migrazione indiana in Myanmar fu una delle più vaste migrazioni umane del Ventesimo Secolo.
6 La legge sulla Cittadinanza del 1982, attualmente in vigore in Myanmar, rappresenta l’emblema di questa ricerca della “pura” identità birmana e dello scontro identitario creato dell’imperialismo. Come citato nella suddetta legge: la piena cittadinanza è riservata ai discendenti di individui che risultano residenti in Myanmar da prima del 1823.
7 Thant Myint-U, The Hidden History of Burma: Race, Capitalism, and the Crisis of Democracy in the 21st Century, London, Atlantic Book, 2019, p. 18.
8 Ibid., p. 35
9 Ibid., p. 32
10 A differenza dell’etnia Bamar, Buddista, le minoranze etniche Kachin, Chin e Karen furono convertite dai missionari occidentali al cristianesimo. Questo ha fatto che i nomi degli individui di queste minoranze etniche derivino dalla tradizione cristiana, chiaramente molto differente da quella birmana-Bamar. Oltre ai nomi, anche l’alfabeto di queste etnie, che è stato composto per la prima volta dai missionari, è completamente diverso da quello birmano. I birmani-Bamar hanno il proprio l’alfabeto (birmano) e le etnie sopracitate hanno ereditato l’alfabeto latino.
11 Kei Nemoto, The Concepts of Dobama (“Our Burma”) and Thudo-bama (“Their Burma”) in Burmese Nationalism, 1930-194, Northern Illinois University, The Journal of Burma Studies, vol. 5, 2000, p. 3.
12 John Furnivall, Colonial Policy and Practice: A Comparative Study of Burma and Netherlands India, New York, Cambridge University Press, 1959, p. 184.
13 Mary P. Callahan, Making Enemies: War and State Building in Burma, op. cit., p. 40.
14 Robert H. Taylor fa riferimento al “Battalion of the Burma Rifles”.
15 Robert H. Taylor, The relationship Between Burmese Social Classes and British-Indian Policy on the Behaviour of the Burmese Political Elite, 1937-1942, Cornell University, 1947, p. 32.
16 Thakin significa “padrone” (Master). Era il termine con il quale i britannici pretendevano di essere chiamati dalla popolazione indigena birmana. I giovani nazionalisti, utilizzando il titolo, affermavano la loro volontà di essere padroni di se stessi.
17 Mary P. Callahan, Making Enemies: War and State Building in Burma, op. cit., p. 48.
18 Ibid., p. 46.
19 Ibid., p. 54.
20 Andrew Selth, Race and Resistance in Burma, 1942-1945, “Modern Asian Studies”, vol. 20, n. 3, 1986, p. 496.
21 Mary P. Callahan, Making Enemies: War and State Building in Burma, op. cit., p. 74.
22 L’espressione “vaghe ma specifiche entità” si riferisce al fatto che la divisione delle due Birmanie era rappresentata solo dalla differenza etnica tra Bamar e non Bamar, senza prendere in considerazione le divergenze all’interno dei diversi gruppi minoritari.
23 War Cabinet, “Policy in Burma”, 30 aprile, 1945, War Cabinet paper WP (45)275, IOR M/3/1573.
24 Mary P. Callahan, Making Enemies: War and State Building in Burma, op. cit., p. 94.
25 Ibid., p. 95.
26 Louis Mountbatten fu il Supremo Comandante Alleato del Asia Sudorientale (SEAC, South East Asia Command) fino al 1946.
27 Ibid., p. 97.
28 David I. Steinberg, Burma/Myanmar: What Everyone Needs to Know, New York, Oxford University Press, 2013, p. 42.
29 Aung San Suu Kyi, Freedom from Fear, Penguin Books Ltd, 1991, p. 34.
30 Andrew Selth, Burma’s Armed Forces: Power Without Glory, Manchester, Eastbridge Books, 2001, p 11.
31 Mary P. Callahan, Making Enemies: War and State Building in Burma, op. cit., p. 116.

 

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