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MYANMAR attende il suo nuovo presidente

Il 17 marzo prossimo il parlamento dell’unione avvierà l’iter che porterà all’individuazione del nuovo presidente del Myanmar.

Dovrà essere individuato un candidato per ciascuna camera: uno proveniente dalla camera alta e uno proveniente dalla camera bassa.

A questi si aggiungerà un terzo candidato scelto dal blocco dei militari, che, come è noto, rappresentano il 25% dei deputati e sono nominati direttamente dai comandi militari.

Le camere riunite saranno quindi chiamate ad esprimere il loro voto.  Diventa presidente colui che tra i tre riceve più preferenze.  Gli altri vengono nominati vice presidenti e quello dei due con il maggior numero di voti sarà il presidente vicario.

Gli osservatori politici fanno notare che la data del 17 marzo è piuttosto avanti, considerando che il mandato di Thein Sein, l’attuale presidente in carica, finisce il 31 marzo.

Questa circostanza fa nascere il sospetto che il parlamento, in cui la Lega Nazionale per la Democrazia è in netta maggioranza, abbia voluto concedere un lasso di tempo in più ai colloqui in corso tra il partito di Daw Suu Kyi e i militari per gestire il passaggio del potere.

Alcuni si spingono addirittura ad ipotizzare che oggetto della trattativa in corso sia trovare una modalità che consenta ad Aung San Suu Kyi di accedere alla presidenza del Myanmar senza dover stravolgere la costituzione del 2008 varata dai militari.

Alcune testate online riportano che la Televisione Nazionale del Myanmar (controllata dal governo) e Sky Net (emittente vicina al governo) in tarda serata di ieri (domenica 7 febbraio), hanno annunciato quasi simultaneamente  “progressi positivi nei colloqui per la sospensione dell’articolo 59 (f) della costituzione”.

L’articolo 59 (f) è appunto quello che stabilisce che non possono salire alla presidenza del Myanmar quei cittadini birmani che abbiano legami di parentela con cittadini stranieri e fu appunto introdotto nel 2008.  Articolo costituzionale “ad personam” cucito sulla situazione famigliare di Aung San suu Kyi, vedova di un cittadino inglese e madre di figli con passaporto britannico.

Secondo alcuni un ruolo chiave nella transizione del potere lo starebbe svolgendo il decaduto speaker del parlamento Shwe Mann, il quale, proprio per il suo avvicinamento alla leader dell’LND, l’estate scorsa era stato esautorato dalle cariche che ricopriva nel partito al governo.

In questa atmosfera di attesa, piena di silenzi e di rumors, sembrano assumere un significato preciso le recenti dichiarazioni di U Tin Oo, il quale ad una precisa domanda ha risposto piccato che lui personalmente non ha mai pensato di diventare presidente, perché per quanto lo riguarda l’unico candidato alla presidenza è Aung San Suu Kyi.

C’è però anche chi richiama alla cautela nel trarre conclusioni.  Per sospendere e modificare gli effetti dell’articolo 59 (f) occorrerà comunque del tempo.  Più probabile che si vada verso una presidenza di transizione che nel giro di qualche mese o un anno porti a compimento un iter che veda Daw Suu Kyi alla guida della nazione.

(Aldo Montermini – 08/02/2016)

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