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Il Tatmadaw spara anche con munizioni italiane

Le immagini delle violenze commesse dal regime militare in Myanmar hanno fatto il giro del mondo. In particolare, nell’ultima settimana, ha richiamato l’attenzione internazionale uno specifico episodio, avvenuto il 3 marzo, nel quartiere Nord Okkalapa di Yangon, ripreso casualmente dalle telecamere a circuito chiuso della zona. Nella registrazione si vedono le forze di polizia fermare un’ambulanza e, dopo aver sparato contro il veicolo, picchiare brutalmente i quattro medici volontari.

Durante il servizio di Radio Free Asia (RFA), che indagava proprio sull’accaduto, al minuto 02.54, il giornalista mostra la cartuccia sparata dalla polizia contro l’ambulanza. Attraverso questi fotogrammi veniamo a conoscenza che il proiettile è di fabbricazione italiana, prodotto, nello specifico, dall’azienda Cheddite Italy S.r.l., con sede a Livorno.


Come sottolineato dal giornalista Yeshua Moser-Puangsuwan: “come sono finiti nelle mani della polizia [birmana] i proiettili italiani usati solo pochi giorni fa in un attacco ad un’ambulanza civile? La difficoltà di rispondere a questa domanda rivela uno dei grandi problemi di controllo della vendita di armi nel mondo di oggi”.

Infatti, la vendita di armi e munizioni al Tatmadaw è severamente vietata alle aziende pubbliche e private italiane. Tutti i paesi dell’Unione Europea sono vincolati dal rigido embargo sulle armi imposto dall’UE al Myanmar. In aggiunta, il Consiglio europeo, il 26 aprile 2018, ha approvato delle ulteriori misure restrittive per quanto riguarda il commercio tra l’Europa e il Myanmar, estendendo l’embargo a qualsiasi attrezzatura che possa essere utilizzata a fini di repressione interna.

Al minuto 2:54 del video è possibile vedere chiaramente che il proiettile è realizzato dall’azienda italiana Cheddite, come dimostrano le immagini nel loro sito ufficiale.


Il giornale birmano The Irrawaddy, che ha approfondito la vicenda, sostiene che Cheddite, contattata il giorno seguente, ha dichiarato di non aver mai venduto le proprie munizioni al Myanmar, aggiungendo che “le loro esportazioni sono definite dai regolamenti dell’UE”. Una volta fatta chiarezza sulla regolarità del commercio dell’azienda, rimane il fatto, indiscutibile, dell’utilizzo di munizioni italiane per reprimere nel sangue la popolazione del Myanmar. A questo problema non può rispondere solamente una eventuale correttezza burocratica, limitata dal rispetto delle norme di esportazione internazionale, ma deve emergere una responsabilità morale, anche se indiretta, dell’azienda. Il non vendere direttamente il proprio prodotto non può rappresentare una scusa se alla fine quelle armi, o munizioni, finiscono nelle mani di regimi violenti.

Una delle tante lezioni che emergono da queste settimane di protesta in Myanmar è il profondo senso del dovere, come cittadini, come medici, come politici e come giornalisti, della popolazione. La capacità investigativa dei numerosi giornalisti birmani, che ogni giorno rischiano la loro vita in prima linea, si spinge, come in questo caso, ad analizzare anche il più piccolo dettaglio, come la provenienza delle munizioni utilizzate dalle forze di sicurezza. Questo loro senso del dovere ci obbliga ad essere consapevoli e responsabili non solo di quello che succede nel loro Paese, ma anche di quello che succede nel nostro.

Andrea Castronovo

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