Rassegna Stampa

Aung San Suu Kyi: l’Italia è una democrazia solida, troverete la strada Aung San Suu Kyi: l’Italia è una democrazia solida, troverete la strada

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di Sandra Zampa (deputato PD)

NAYPIDAW (BIRMANIA) – Della crisi politica che paralizza l’Italia e scuote l’Europa, Suu Kyi, figlia dell’eroe dell’indipendenza birmana Aung San, è ben informata. Il suo primo commento è un sorriso che coglie ed esprime il clima internazionale sul nostro Paese. Stupore, incredulità ma anche la certezza che l’Italia ha solide istituzioni democratiche, anticorpi attivi a proteggerla da patologie gravi. Al nostro arrivo nei giorni scorsi a Naypidaw (la delegazione è composta dalla senatrice Albertina Soliani, fondatrice del gruppo interparlamentare “Amici della Birmania”, da Mariagiuseppina Bartolini, ordinario di didattica della matematica all’Università di Modena-Reggio Emilia, e Giuseppe Malpeli dell’Associazione per l’amicizia Italia-Birmania), la “Signora” che i birmani, a cominciare dai giovani, chiamano con devozione “Ma Ma” (madre), ce lo spiega subito.

“Il vostro Parlamento è vivo” ci ripete evocando quello in cui lei siede dopo elezioni del 2012, non ancora trasformato da un cambiamento avviato ma insufficiente a definirlo “democratico” (il 25% dei parlamentari è per dettato costituzionale composto da militari). Che cambiamento e transizione siano iniziati nel Paese, devastato da decenni di cruenta dittatura, è testimoniato anche dalla visita dell’attuale presidente Thein Sein accolto in Italia proprio nei giorni del nostro viaggio in Birmania e in altri tre paesi europei (Norvegia, Finlandia, Austria) membri del Club di Parigi. Un cambiamento che la “Signora” ha cercato e pagato con l’interminabile prigionia, i monaci e gli studenti con il sangue e che il mondo ha tentato di promuovere con metodi diversi (dalle sanzioni alle più efficaci azioni di diplomazia volte a ottenere dalla giunta militare la fine della dittatura e l’apertura del Paese).

Un cambiamento avviato ma non sufficiente, una transizione che ha esiti incerti. Basti pensare che la Costituzione prevede che in caso di emergenza nazionale il potere torni nelle mani dei militari e che non può diventare presidente del Paese chi abbia legami di parentela con stranieri (Suu Kyi è vedova di un inglese da cui ha avuto due figli). L’incontro con la “Signora” ha luogo a Naypidaw la nuova capitale che i cinesi hanno costruito su indicazione della giunta militare a più di quattro ore da Rangoon, la vecchia capitale dove le ambasciate sono rimaste così come le sedi dei partiti e da dove partono il lunedì mattina alle 3 funzionari e impiegati ministeriali per farvi ritorno il venerdì notte al termine della settimana di lavoro. Naypidaw è un “non luogo”, con palazzi enormi, strade deserte, caldo soffocante, nel centro di una giungla che minaccia di riprendersi il terreno su cui è costruita.

L’hanno voluta là gli aruspici che hanno anche indicato la data “benaugurante” per il trasloco. Per raggiungerla è stata costruita un’autostrada a quattro corsie sempre deserte dove può capitarti di incrociare donne che fanno manutenzione al mantello stradale sotto il sole o raccogliere pietre da portare nei villaggi rurali per costruire qualcosa. A lavorare ci sono molte più donne che uomini: producono e decorano la lacca, vendono nei mercati, ma svolgono anche lavori faticosissimi come quelli in muratura. Sono costrette ad abbandonare gli studi per aiutare la famiglia. Alle donne Suu Kyi riserva una particolare attenzione politica. Sa che le donne hanno coraggio e forza: la sua opera lirica preferita è l’Aida, come ci spiega mentre passa in rassegna l’intera collezione verdiana che le portiamo in dono e che lei accoglie con gioia: “non è il mio compleanno!”. Il colloquio amichevole che ci riserva, nel suo ufficio parlamentare, ruota attorno alla parola “cambiamento”.

Nel 2015 si terranno le elezioni e la figlia dell’eroe dell’Indipendenza che nel 1947 aveva raggiunto una storica intesa con i rappresentanti delle diverse etnie (che Suu Kyi intende rinnovare) si candiderà alla presidenza con la National League for Democracy (LND). Negli ultimi due anni i militari si sono lasciati guidare da Thein Sein in una transizione che non ha certo mutato le condizioni di vita dei birmani e delle altre etnie. La povertà si tocca ovunque. Nelle zone rurali come nelle città. La visita più emozionante dei giorni birmani è stata ad una organizzazione di volontariato locale che assicura funerali gratuiti ai poveri tra i poveri. Ne hanno celebrati poco meno di 200.000. Grazie alla popolarità di un noto e amato attore birmano, Kyaw Thun, che si è assunto il compito di guidare con la moglie la “Free Funeral Service”, la raccolta dei fondi funziona e ha permesso di aprire ambulatori gratuiti e offrire pasti a prezzo bassissimo a tutti coloro che si rivolgono all’organizzazione. Gli indici di scolarità sono più bassi di quelli del resto dell’Asia sudorientale e anche quelli della salute pubblica. Più di 90mila bambini sotto i cinque anni muoiono ogni anno.

La “Signora” ha finanziato e finanzia l’apertura di scuole gratuite e pensa all’istituzione di un ministero per l’istruzione mai esistito fino ad ora se vincerà le elezioni. Come lei si prendono cura dell’istruzione dei bambini più poveri o senza famiglia anche i monaci. Sono centinaia quelli accolti in un edificio di Rangoon che casca a pezzi e che è diretto da un anziano monaco che ci riceve facendoci servire acqua fresca e una bibita. L’Università di Modena-Reggio Emilia si propone di sostenere Suu Kyi anche assegnandole una laurea honoris causa e supportando l’attuale responsabile scuola della NLD che potrebbe diventare il primo ministro all’istruzione di un governo guidato da Suu Kyi. Ma perché ciò possa avvenire- unica garanzia di una transizione positiva- molti cambiamenti devono avere luogo ancora e devono aver corso immediato.

Occorre che i prigionieri politici siano liberati, che i diritti umani siano rispettati, che le organizzazioni umanitarie possano avere accesso libero alla Birmania, che la corruzione sia colpita. Per questo la comunità internazionale non può far cessare la propria alta attenzione nei confronti del Paese e il controllo sull’operato dell’attuale governo. La maggior parte delle sanzioni sono state sospese dopo l’avvio del “cambiamento”. Ma nulla deve essere concesso senza passi avanti nella transizione. Thein Sein ha ottenuto colloqui con ministri dell’economia e dopo la sigla dell’accordo con i creditori del Club di Parigi (gennaio 2013) la Birmania può collaborare con la Banca mondiale. Ma guai se l’apertura al business internazionale implicasse passaggi di risorse dai militari corrotti. Se ciò che arriva da investitori esteri transitasse dalle loro mani non ci sarebbe futuro per la Birmania democratica.

L’apertura di credito internazionale inquieta chi si è battuto per avviare il cambiamento: c’è il timore che possa essere “vantato” in vista delle elezioni del 2015 da quegli stessi che sono stati autori della distruzione economica, sociale e culturale di un Paese ricco di risorse naturali assai preziose. Ma al tempo stesso occorre procedere perché una nuova chiusura sarebbe pagata dagli stessi che soffrono povertà e privazioni anche della dignità. Questo è quello che chiedono, se li si ascolta, coloro che hanno pagato l’avvio della transizione e senza il cui sacrificio nessun cambiamento sarebbe stato intrapreso. Ce lo ripetono Min Ko Naing e Ko Ko Gy, “i ragazzi” dell’88 (Generazioneottootto88) che incontriamo nella loro semplice sede nella periferia di Rangoon. Sono gli studenti che diedero vita alla rivolta studentesca contro il regime.

Sono stati in prigione per anni: “ma non smetteremo mai di batterci fino a che non saremo arrivati al risultato” ci dicono con un sorriso tranquillo. Lo stesso dicono i monaci. Lo sguardo severo e sofferente di Aung San Suu Kyi, la “signora” dai gesti eleganti, eletta all’unanimità alla guida della NLD qualche giorno fa, futura candidata alla presidenza, può con la sua affermazione elettorale riscattare la sofferenza di un popolo e la sua personale. E’ a lei che le donne del mondo, a cominciare da quelle che siedono nei Parlamenti “vivi” d’Europa, devono guardare ed è a lei che occorre dare sostegno morale e materiale. In questa direzione opererà il Gruppo interparlamentare Amici della Birmania di cui assumerò la presidenza nella legislatura che sta faticosamente avviandosi in un Parlamento “ben vivo”.
leggi l’articolo su Il Sole 24 Ore

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